Oggi sarebbe troppo facile ricordare semplicemente che è l’anniversario della morte di papà.
Ma sono passati molti, molti anni e, benché il suo ricordo continui a parlare dentro di me, ora sono una persona assai diversa dalla ventottenne che scriveva questi versi.
Perché se è vero che il passato rende / gravido il presente / ma non lo riempie / mai, è altrettanto vero che il presente è pieno proprio in virtù del non essere solo un prolungamento del passato.
E poi c’è qualcos’altro che ritorna con prepotenza dal passato, oggi, un po’ come un incubo che si ripete. Il dolore. Il dolore fisico che mi divora da giorni e giorni, da notti e notti.
Ho ceduto e ho dovuto prendere di nuovo quelle pastiglie che avevo smesso d’ingurgitare qualche tempo fa; quelle pillole che attutiscono poco il dolore, ma in compenso ottundono molto i pensieri.
Eppure anche il dolore, anche i farmaci, non sono soltanto un ritorno. Affronto e rifletto con un altro spirito. Io sono un’altra.
È vita quella descritta da Giovanni Papini? È ancora vita? Lo è, ancora, finché sentiamo che lo è.
Quindi io oggi festeggio soprattutto due compleanni non miei e due ragazze che per la prima volta affrontano un concorso pubblico.
Quattro donne diverse, determinate, speciali.
Così il 24 maggio non è più (non solo) l’anniversario della morte di papà. Ma l’anniversario di un presente da celebrare, di un futuro da conquistare.
Buona vita, piena, finché abbiamo fame di viverla.
Da Il più bello dei mari, Lulu, 2015